Strumenti per tutelare il patrimonio immobiliare del giocatore d'azzardo patologico e dei suoi familiari
Alcuni strumenti per tutelare il patrimonio immobiliare del giocatore d’azzardo patologico e dei suoi familiari.
Uno dei principali problemi connessi e conseguenti al fenomeno della ludopatia attiene al rischio che corrono i beni facenti parte del patrimonio del giocatore d’azzardo patologico, passibili di atti di aggressione ed esecuzione forzata da parte dei creditori.
La situazione tipo cui ci si trova spesso di fronte è la seguente.
Immaginiamo una famiglia composta da marito, moglie e due figli (adulti ma non economicamente indipendenti).
I coniugi, sposati in regime di comunione di beni, sono comproprietari dell’abitazione dove vivono e di un conto corrente cointestato ove confluiscono le entrate derivanti dal lavoro del capofamiglia, unico percettore di reddito.
Il soggetto, che ha sempre destinato lo stipendio a sopperire alle esigenze familiari, a un certo punto entra nella spirale del gioco d’azzardo. Inizia quindi a giocare, all’insaputa della famiglia, dapprima piccole somme attinte dallo stipendio, e poi importi sempre maggiori reperiti facendo ricorso all’indebitamento con finanziarie o banche.
E’ a questo punto che sorge il rischio concreto di aggressione ai beni immobili di proprietà del debitore, che si può concretizzare nei seguenti casi:
• iscrizione di ipoteca volontaria sul bene immobile, nel caso in cui il giocatore conceda il bene a garanzia di un mutuo concesso da un istituto di credito: a fronte dell’erogazione del denaro, la banca iscrive ipoteca sul bene immobile, quale garanzia in caso di mancato pagamento del debito;
• rischio di pignoramento immobiliare, che sorge nel momento in cui il giocatore non riesce più ad onorare gli impegni assunti con i creditori, che conseguentemente cercano di ottenere la tutela del proprio credito aggredendo i beni immobili del loro debitore.
Passando ad analizzare in modo più specifico la seconda ipotesi tratteggiata, è necessario prendere le mosse dal principio generale di garanzia patrimoniale sancito dall’art. 2740 c.c., in forza del quale il debitore risponde delle obbligazioni contratte con tutti i suoi beni, presenti e futuri.
Ciò significa che, in caso di inadempimento, i creditori possono aggredire con atti di esecuzione forzata tutti i beni di proprietà del debitore al fine di vedere riconosciuto il proprio diritto di credito.
Concretamente, in presenza di beni immobili, il principio di cui sopra si traduce in possibili atti di pignoramento e successiva vendita dei beni. Il rischio descritto comporta conseguenze ancora maggiori laddove si consideri che, come ipotizzato nel caso oggetto della presente analisi, spesso l’unico bene utilmente aggredibile è rappresentato dalla casa familiare.
Al fine di tutelare – per quanto possibile – gli immobili dal rischio di cui sopra, è possibile ricorrere ad istituti giuridici finalizzati a spogliare il debitore della proprietà dei cespiti, conseguentemente sottratti dalla garanzia patrimoniale prevista dall’art. 2740 c.c.
La necessità di cui sopra va tuttavia conciliata con l’esigenza del proprietario di mantenere la disponibilità del bene, soprattutto se si tratta della casa in cui vive. Le esigenze di cui sopra possono essere conciliate con il ricorso agli istituti del fondo patrimoniale e della donazione. Entrambe le fattispecie prevedono che il proprietario si spoglia della proprietà del bene che viene trasferita, nel primo caso in un fondo all’interno del quale vengono fatti confluire tutti i beni immobili destinati al sostentamento della famiglia, e nel secondo caso a un soggetto terzo.
In tale ultima ipotesi, i soggetti beneficiari della donazione potrebbero essere i figli del donante, destinati comunque in futuro a diventare proprietari del bene in seguito a successione ereditaria, con l’accorgimento che il donante potrebbe – ed è bene che lo
faccia – conservare per sé il diritto di usufrutto vitalizio sul bene. Fin qui, apparentemente, nessun problema.
Il nostro ordinamento giuridico, tuttavia, se da un lato con l’istituto del fondo patrimoniale mira a tutelare i beni necessari al sostentamento della famiglia da possibili aggressioni esterne mentre con l’istituto della donazione disciplina il diritto del donante
di compiere atti di liberalità in favore di terzi, dall’altro si preoccupa di garantire altresì il diritto dei creditori di poter contare sulla garanzia patrimoniale sancita dall’art. 2740 c.c. al fine di veder riconosciuto il proprio diritto di credito.
Il contemperamento delle due esigenze descritte – spesso tra loro antitetiche – è realizzato dall’istituto dell’azione revocatoria ordinaria, prevista dall’art. 2901 c.c., in base al quale, in presenza di determinate condizioni, il creditore può agire in giudizio per far dichiarare inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione patrimoniale con i quali il debitore abbia arrecato pregiudizio alle sue ragioni. Vediamo allora quali sono i presupposti dell’azione. Dal punto di vista oggettivo è necessario, oltre ovviamente all’esistenza del credito da tutelare, che l’atto di disposizione oggetto di revocatoria arrechi un effettivo pregiudizio al creditore. Deve trattarsi quindi di un’operazione di entità e rilevanza tali da compromettere irreversibilmente la capacità patrimoniale del debitore.
Dal punto di vista soggettivo, è necessaria innanzitutto la conoscenza, da parte del debitore, del pregiudizio causato alle ragioni del creditore con l’atto di disposizione. Se poi l’atto di disposizione è titolo oneroso, ai fini della revocatoria è necessario che il pregiudizio sia conosciuto anche dal terzo, e non solo dal debitore. Se invece l’atto è a titolo gratuito – come in caso di donazione e costituzione di fondo patrimoniale – la situazione psicologica del terzo è ininfluente. E’ evidente che l’atto di disposizione compiuto a titolo gratuito dal giocatore quando la sua situazione debitoria è già compromessa di per sé implica la conoscenza da parte sua che l’atto è finalizzato a ledere le ragioni creditorie del revocante. Anche solo per tale motivo, quindi, è necessario che gli atti di disposizione del patrimonio vengano utilizzati quale misura preventiva ed eseguiti in periodi non sospetti.
Inoltre, se l'atto è stato compiuto prima che sorgesse il diritto di credito, ai fini della revocatoria è necessario dimostrare che l'atto di disposizione fosse dolosamente preordinato al fine di danneggiare il futuro creditore. Tale prova, il cui onere incombe sul revocante, non è certo di immediata percezione, e conseguentemente rappresenta un forte deterrente per i creditori che decidessero di tentare la via della revocatoria.
Infine, è importante ricordare che l'azione revocatoria si prescrive nel termine di cinque anni dal compimento dell'atto pregiudizievole; decorso tale termine, gli atti non sono più revocabili e i beni, di conseguenza, sottratti definitivamente dal rischio di
aggressioni.
Per i motivi esposti, gli istituti della donazione e del fondo patrimoniale rappresentano utili strumenti per preservare il patrimonio immobiliare del giocatore e della di lui famiglia, a condizione che vengano utilizzati quali misure preventive o comunque in un
momento in cui la situazione debitoria del giocatore non sia ancora irreversibilmente compromessa.
Infine, è importante considerare l’ulteriore vantaggio derivante dallo spoglio della disponibilità dei beni in capo al giocatore, che si vedrebbe privato degli strumenti idonei ad aumentare il dissesto, considerando che la mancanza di beni immobili da concedere
in garanzia a banche e finanziarie impedirebbe l’erogazione dei relativi finanziamenti e/o mutui.
Avv. Laura Ferrari
ferrarilaura@fastwebnet.it