Pathological Gamblers Respond Equally Well to Cognitive-Behavioral Therapy Regardless of Other Mental Health Treatment Status

Pathological Gamblers Respond Equally Well to Cognitive-Behavioral Therapy Regardless of Other Mental Health Treatment Status

Robey B. Champine, MS, Nancy M. Petry, PhD
Calhoun Cardiology Center, University of Connecticut Health Center, Farmington, Connecticut
 

I dati dimostrano in tutta evidenza la comorbilità tra gioco patologico e disordini psichiatrici. Questo studio compara la severità dei problemi legati al gioco, i disagi psicosociali e i risultati trattamentali in un gruppo di giocatori patologici (231) motivati al trattamento. Il lavoro si basa sull’utilizzo dei self-report dei pazienti, emersi durante il trattamento di salute mentale. Come atteso, i pazienti attualmente sottoposti a trattamento di salute mentale mostrano più accentuati problemi psichiatrici rispetto a coloro i quali non vi partecipano. Sebbene le attività di gioco preferite differiscano a seconda dello stato del trattamento di salute mentale, lo stesso non si è riscontrato rispetto alla severità dei problemi di gambling e ai risultati del trattamento. La terapia individuale cognitivo-comportamentale si è rivelata efficace nel ridurre i problemi di gambling a prescindere dal trattamento di salute mentale utilizzato. (Am J Addict 2010; 19:550–556)

Dallo studio emerge come la terapia cognitivo-comportamentale individuale sia efficace nel ridurre i problemi associati al gioco. I risultati suggeriscono infatti che i giocatori patologici possono trarre beneficio dalla suddetta terapia, a prescindere dal fatto che essi siano, o siano stati, coinvolti in un trattamento legato ad altri disordini psichiatrici. 
In letteratura vi sono poche evidenze rispetto all’associazione di problemi psichiatrici e risposta a trattamenti del gambling. Diversi lavori hanno rintracciato solo trascurabili differenze tra i risultati relativi a pazienti con seri problemi psichiatrici e quelli legati a individui afflitti da patologie psichiatriche meno gravi. I dati del presente studio rispecchiano le evidenze raccolte dai precedenti, poiché mettono in rilievo come i pazienti con gravi psicopatologie, sindromi depressive o sintomi d’ansia abbiano la medesima probabilità di essere sottoposti con successo a un trattamento per i propri comportamenti disordinati di gioco. 
Tra i punti di forza dello studio di Champine e Petry, il vasto campione considerato, i ragionevoli tassi di follow-up eseguiti e i limitati criteri di esclusione utilizzati. Elementi, questi, suscettibili di accrescere la generalizzazione dei risultati ottenuti, così come il coinvolgimento dei “collaterali” (amici, conoscenti e familiari) per verificare l’attendibilità delle informazioni emerse dai self-report dei giocatori. Sotto questo profilo, le affermazioni di pazienti e collaterali sono risultate decisamente coincidenti. Dallo studio non risulta invece chiaro se i problemi di salute mentale siano precedenti o meno all’insorgenza dei problemi di gambling tra i partecipanti. Una lacuna rilevante, poiché la sequenza temporale potrebbe avere inciso sul comportamento dei pazienti motivati al trattamento. Inoltre, le evidenze emerse non possono essere generalizzate automaticamente ad altri contesti geografici, dove una differente accessibilità ai servizi di cura potrebbe incidere sia sulla motivazione dei pazienti che sui risultati, di breve e lungo periodo, del trattamento. 
In conclusione, i dati suggeriscono che, sebbene i gambler patologici disponibili al trattamento sottoposti in passato ad altri trattamenti di salute mentale mostrino problemi psicosociali e disordini legati al gioco (ad es. slot machine) più pronunciati rispetto a quanti non ricercano una cura, le differenze nello stato del trattamento non incide sui risultati della terapia del gambling. 
Queste evidenze suggeriscono che la terapia cognitivo-comportamentale individuale è efficace per i giocatori patologici con una gamma di problemi psichiatrici e una lunga storia trattamentale.
 

Fonte: 
The American Journal on Addictions, 19: 550–556, 2010
Copyright C _ American Academy of Addiction Psychiatry