La psicoeducazione nel trattamento per i giocatori patologici

La psicoeducazione nel trattamento per i giocatori patologici

 

Per “psicoeducazione”, nell’ambito del trattamento del giocatore patologico, si intendono una serie di colloqui strutturati finalizzati a raggiungere tre obiettivi fondamentali:

  • aumento di consapevolezza rispetto alla connotazione patologica delle abitudini di gioco
  • correzione degli errori cognitivi che portano il giocatore a perpetuare il proprio comportamento problematico
  • supporto motivazionale per la riduzione/cessazione del comportamento di gioco.

Lo schema della psicoeducazione per giocatori patologici è stato definito per la prima volta dal professor Robert Ladouceur (psichiatra canadese, professore associato dell’Université Laval, Quebec); rivisto e tradotto in italiano dal dott. Tazio Carlevaro (psichiatra e psicoterapeuta svizzero, membro del Gruppo Azzardo Ticino) che usa questo approccio terapeutico nelle procedure di ri-ammissione ai casinò elvetici dei giocatori che si sono autoesclusi.

 Presso la sede di via Boifava del Ser.T. 1 di Milano, questo approccio è parte integrante del percorso terapeutico per i pazienti giocatori e per i loro familiari che vengono attivamente coinvolti nella terapia.

Nello schema ideale si prevedono tre colloqui di un’ora ciascuno, che seguono uno schema fisso: nella prima ora si chiede al pz. di esplicitare in maniera molto precisa le conseguenze che il gioco ha avuto in diversi ambiti della sua vita (economico, lavorativo, familiare), poi si ripercorre con il pz. Il suo percorso di homo ludens: quali giochi preferiva nell’infanzia, con chi giocava, come si comportava in caso di vincita e come si comportava con i compagni di gioco.

E’ facile intuire come questo modo di parlare di gioco sia del tutto nuovo per il pz. e per il familiare che lo accompagna; si crea un nuovo terreno di scambio, fatto di informazioni attendibili, di collegamenti nuovi fra istanze diverse, di ponti fra passato e presente che aiutano il diretto interessato dal problema e la sua famiglia a capire come ci siano state delle cause reali e identificabili che hanno portato all’insorgenza della patologia. Nessuna divinità ha maledetto il giocatore, nessuna strategia può funzionare, o deve essere compresa prima di iniziare a vincere, perché non esiste alcuna strategia possibile, il giocatore che perde non è sfortunato…rientra solo nella normale statistica!

Sempre nella prima ora si chiede al pz. di ricordare la prima vincita, come si sono utilizzati i soldi vinti e la “grana” delle emozioni provate. In questo momento si mette in luce la molla iniziale che ha portato il meccanismo ad avviarsi.

Si consegna poi al pz. un riassunto scritto dei temi della prima ora e alcuni semplici compiti a casa.

Il riassunto consente alla famiglia di ricevere e rivedere le informazioni e al pz. di fare memoria di quanto si è detto, mentre i compiti aiutano il pz. a riflettere più approfonditamente sul suo gioco. Ovviamente non ci sono risposte “giuste”, le domande richiedono una risposta che può essere molto ampia e sono domande rivolte direttamente alla persona: Chi sei? Che cosa vuoi dalla vita?

Domande apparentemente semplici, ma che impongono, forse per la prima volta dopo tanto tempo, un bilancio di vita e che aprono a prospettive future.

I compiti a casa si discutono all’inizio dell’ora seguente, senza giudizi di valore, ma cogliendo nuovi spunti di riflessione per il pz., i familiari e i terapeuti.

Nella seconda ora si affrontano temi meno personali, ma non di minore impatto: si parte dal condividere la definizione di “evento casuale” come un evento generato dalla relazione e concatenazione di altri eventi, così ramificati e collegati, che non permettono una previsione sull’esito, ma solo una analisi (anche difficoltosa) a posteriori.

In seguito si chiede al pz. di parlare del suo modo di giocare al gioco che ha generato il problema, si verifica l’esistenza di pensieri strategici e si evidenzia come le basi di questa strategia siano alquanto fallaci e prive di fondamento, si ragiona sulle probabilità di vincita nel gioco in questione utilizzando schemi, programmi applicativi da ufficio che consentono di mostrare calcoli e i loro cambiamenti relativi modificando alcuni parametri, giochi pratici (ovviamente d’azzardo), articoli (scientifici e non) che parlano di gioco d’azzardo.

A questo punto è bene precisare che non si vuole trasmettere il messaggio che il gioco, in generale, è sbagliato o truffaldino. Il gioco è una componente indispensabile della vita dell’uomo e il gioco d’azzardo è uno degli ambiti di questo importante motore evolutivo. E’ il pensiero che attraverso l’azzardo si possa arrivare a una vincita risolutiva per la vita e il perseguirla con accanimento che comporta problemi e, quasi sempre, forti difficoltà economiche.

Nel gioco d’azzardo, oltre a ragioni materiali, esistono anche ragioni emotive.

Come un hobby può riempire il tempo, distrarre dalle preoccupazioni del quotidiano, dare soddisfazioni, anche un gioco d’azzardo può assolvere a questi bisogni. E’ utile riportare un vissuto che quasi sempre si riscontra nei giocatori di macchinette: stare davanti a quello schermo fa sentire al di fuori del tempo e delle preoccupazioni; non è un modo per affrontare i problemi, ma dà la possibilità di isolarsi, di non pensare, di non sentire. E’ il prezzo da pagare che è molto alto.

Le ragioni emotive devono poi essere affrontate con lo psicologo, ma già sottolineare questo dato permette al pz. e ai familiari di intravedere che c’è del lavoro da fare.

In generale, trovare una risposta che funziona al proprio male di vivere – anche se dannosa - chiude la ricerca e non si sente il bisogno di fare altro. In realtà il prezzo da pagare per una soluzione tanto efficace è esorbitante, non solo dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista delle relazioni con gli altri e delle energie dissipate in un comportamento simile.

Ecco quindi che bisogna ritrovare gli interessi di un tempo e le relazioni e per farlo, bisogna ricominciare a cercare, a fare qualcosa di diverso.

La seconda ora si chiude, quindi, con alcuni consigli pratici che possono riguardare la gestione economica, l’abbandono di carte di credito e bancomat, la limitazione della cifra giornaliera da tenere in tasca, l’importanza di evitare certi luoghi. Si consegnano quindi il riassunto di quest’ora e i nuovi compiti a casa.

Nella terza e ultima ora si parla della possibilità di cura e delle figure che potrebbero essere di aiuto, spiegando le diverse competenze e i diversi ambiti di intervento. Si parla dell’astinenza e di ciò che comporta rinunciare a una risposta sicura ma troppo onerosa.

Si parla anche dell’eventualità della ricaduta, sempre presente in una patologia recidivante, e si rinforza il fatto che, se dovesse accadere, si sa già dove rivolgersi e si sa già cosa si può fare e si può anche pensare che già una volta si è riusciti a ridurre o a smettere e la famiglia, se si è lavorato bene, ha già degli strumenti per intervenire e il clima potrà essere, in generale, più sereno.

 

David Micheli

 

L’equipe GAP del Ser.T. di via Boifava è composta da:

 

dr.ssa Cinzia Stellato (medico e Responsabile della Struttura Semplice)

dr.ssa Livia Alemanni (psicologa)

dr. Giuseppe Mate (psicologo)

dr.ssa Silvana Papaluca (psicologa)

dr.ssa Susanna Redaelli (assistente sociale)

dr. David Micheli (educatore professionale)

sig.ra Anna Brognoli (infermiera professionale)

 

La sede Ser.T. di Via Boifava è organizzativamente inserita nella Struttura Complessa Ser.T. 1, della ASL di Milano, diretta dal Dr Edoardo Cozzolino

 

 


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