10-05-2017

E-health, scendono gli investimenti

E-health, scendono gli investimenti Con gli investimenti pubblici ai livelli del 2011, quale è il trend della sanità elettronica in Italia? Da una parte cittadini e medici sempre più abituati a gestire computer, smartphone e app, dall’altra la sanità pubblica, il Ssn, che versa in difficoltà. Lo spiega Lucilla Vazza, Sanità24, commentando l’ultima ricerca dell’Osservatorio Innovazione digitale in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano: “L’e-health italiano ha perso lo slancio che si riteneva ormai consolidato. Per portare più innovazione nel nostro sistema sanitario, sono stati spesi complessivamente 1,27 miliardi di euro (1,1% della spesa sanitaria pubblica, 21 euro per abitante), con una contrazione del 5% rispetto al 2015 (…) La Cartella clinica elettronica (Cce) resta l’ambito di investimento più significativo con 65 milioni nel 2016, mentre per i servizi digitali ai cittadini - presenti nell’80% delle strutture - l’investimento è stato di 14 milioni (…) Allo stato attuale, il 61% di prenotazioni delle prestazioni si fa su internet”.
Per digitalizzare il Ssn si stanziano 870 milioni di euro per le strutture sanitarie (con un calo del 6% rispetto a un anno fa), con altri 310 milioni spesi direttamente dalle Regioni, 72 milioni dagli oltre 47mila medici di medicina generale e 16,6 milioni direttamente dal ministero della Salute. Una spesa che resta lontana dagli standard dei paesi europei più avanzati. A bilanciare ritardi e lentezze, gli utenti e i medici: un cittadino su due nel 2016 ha utilizzato almeno un servizio online in ambito sanitario; più della metà dei medici internisti e quattro medici di medicina generale su dieci sono ricorsi ad app per aggiornarsi. Tra i diversi ambiti della Sanità digitale, è in particolare alla Cartella clinica elettronica (Cce) che le Direzioni aziendali delle strutture sanitarie riconoscono un ruolo chiave, con investimenti per 65 milioni di euro nel 2016. “Questi dati sono incoraggianti, ma confermano il quadro a luci e ombre in cui, da un lato, alcune applicazioni sono consolidate e, dall’altro, quelle più innovative stentano a decollare - sottolinea Paolo Locatelli, responsabile scientifico dell’Osservatorio Innovazione digitale in Sanità. È ancora limitata l’offerta di servizi digitali al cittadino tramite specifiche soluzioni mobile: download dei referti e prenotazione delle prestazioni online sono fruibili tramite App solo nel 19% dei casi”.
Il 39% delle Direzioni strategiche ritiene inoltre la Tele-medicina un settore prioritario e crescono gli investimenti, pari a 20 milioni di euro nel 2016. Le soluzioni di Tele-medicina più diffuse nelle strutture sanitarie sono quelle di Tele-consulto tra strutture ospedaliere o i dipartimenti (in un’azienda su tre sono presenti a regime), mentre soluzioni più avanzate, come la Tele-riabilitazione e la Tele-assistenza, sono per ora confinate alla sperimentazione. Ancora Locatelli: “Le soluzioni di Tele-medicina sono di interesse sia per i medici che per i pazienti, ma non sembrano trovare a oggi il giusto spazio nei piani di investimento delle strutture sanitarie, ancora impegnate a informatizzare i servizi di base o ad adattare i propri sistemi informativi a obblighi di compliance, o a nuove configurazioni derivanti dalle riforme sanitarie in atto”. Anche i Big data analytics&Business intelligence (Bda&Bi) rappresentano un’area strategica per la quale sono stati investiti 15 milioni di euro nel 2016, anche se i dati provenienti dalle Cce e dai registri degli studi clinici vengono utilizzati per scopi di ricerca solo nel 15% dei casi.
Cosa serve alla sanità italiana per avviare quel rinnovamento organizzativo e tecnologico che le consentirebbe di offrire servizi efficienti e di qualità a pazienti e medici? Oltre ai ritardi normativi e all’incertezza dovuta alle riforme sanitarie in atto in molte Regioni, secondo le Direzioni strategiche delle strutture sanitarie la principale barriera allo sviluppo della Sanità digitale è la mancanza di risorse economiche (65%) e umane (50%). Tuttavia, il digitale stenta a decollare spesso a causa di una bassa cultura digitale tra gli addetti ai lavori, che potrebbe peraltro essere rafforzata con una formazione digitale continua o erogata in cicli di studi pre-universitari.